Festival villa solomei

Il resto del mondo è un mistero

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domenica 22 Giugno 2025 - 17:00

Teatro Cucinelli

Opera in musica in un prologo, 8 scene e finale

Libretto di Alfonso Ottobre

Musica di Piero Caraba

Produzione della Scuola di musica Mousiké Solomeo

 

Sipario Maestro

PERSONAGGI

Vittoria Paci ANÙK Primo cacciatore / esploratore

Linda Scarponi KUNÀ Secondo cacciatore / esploratore

Luca Grosso PRIMO CAPOVILLAGGIO

Amedeo Testerini SECONDO CAPOVILLAGGIO

CORO DEL PRIMO VILLAGGIO

Coro di Voci bianche e Coro giovanile Mousiké di Solomeo

Klara Lužnik, direttore

CORO DEL SECONDO VILLAGGIO

Coro di Voci bianche e Coro giovanile del Conservatorio

“F. Morlacchi di Perugia"

Marta Alunni Pini, direttore

SOLISTI DELL'ORCHESTRA DA CAMERA DI PERUGIA

Azusa Onishi, primo violino

Silvia Palazzoli, secondo violino

Sabina Morelli, viola

Alessandra Montani, violoncello

Pietro Cavallucci, contrabbasso

Simone Frondini, oboe

Luca Franceschelli, fagotto

Monica Fagioli, flauto

Francesco Verzieri, clarinetto

Mirko Basiglio, tromba

Barbara Aisa, pianoforte

Mattia Mattoni, marimba

Giovanni Baldassarri, bonghi / tamburo grave / woodblock /

piatti sospesi, gong

Fabio Ciofini, direttore

Alfonso Ottobre

Nato a Roma, città nella quale ha compiuto gli studi musicali, letterari e filosofici, ha pubblicato le sue prime prove letterarie negli anni ’90: racconti e poesie su varie riviste letterarie e una raccolta di liriche intitolata Custodia Rigida con Specchio. Più recenti sono le pubblicazioni, per la Leonida Edizioni, delle sillogi poetiche La nave frangisilenzio e L’insonnia del Pellicano. Nel 2023, la stessa casa editrice ha pubblicato il suo primo romanzo: Il mio amico, John Keats. Numerose sono anche le sue pubblicazioni nell'ambito della riflessione filosofica: oltre a saggi, articoli accademici e contributi a opere collettive italiane e internazionali, ha pubblicato nel 2012 una monografia intitolata "Arte, Esperienza e Natura" (AlboVersorio Edizioni). La diffusione dei suoi testi è tuttavia legata soprattutto al mondo della musica: molti di essi, infatti, sono stati utilizzati da compositori italiani contemporanei, e in particolare da Piero Caraba. Proprio da questa ormai trentennale collaborazione è nata l’opera teatrale “Il resto del mondo è un mistero”, che ha debuttato al Teatro San Ferdinando di Napoli nel 2021.

Piero Caraba

A Roma, presso il Conservatorio di S. Cecilia si è diplomato in Musica corale e direzione di coro; successivamente in Composizione sotto la guida di Vieri Tosatti. Ha poi conseguito il Magistero in Canto Gregoriano presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma. È autore di musica strumentale, corale e da scena, con lavori pubblicati da case editrici quali Suvini Zerboni, Carrara, Verlag Helvetia; per la didattica, oltre a Fondamenti pratici d'armonia (Ricordi, Milano, 1988, quarta ristampa), ha pubblicato il trattato Le forme della musica, (Sinfonica, Milano, 2010, seconda edizione, terza ristampa). Nel 2021 presso il Teatro San Ferdinando di Napoli è andata in scena la prima de Il resto del Mondo è un mistero, su libretto di Alfonso Ottobre, prodotta dalla Fondazione Pietà de’ Turchini che ne ha curato anche l’edizione a stampa. Alla guida di numerose formazioni corali e sinfoniche ha diretto concerti presso prestigiosi Enti musicali, tra cui la Sagra Musicale Umbra, il Festival dei Due Mondi di Spoleto, la Fondazione Internazionale di Assisi presso cui attualmente è direttore artistico del Dicembre Musicale di Assisi. Dal 2011 al 2015 è stato Sovrintendente e Direttore Artistico della Fondazione “Guido d’Arezzo”. Ha ricoperto la carica di Direttore del Conservatorio di Musica di Perugia per due mandati consecutivi, dal novembre 2013 all’ottobre 2019; presso lo stesso Conservatorio è docente di Teoria dell’armonia e Analisi delle forme compositive. È componente della Commissione Artistica Nazionale della Feniarco (Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali).

Come in una oscura e grande metafora, è dalla simbolica narrazione che fanno i personaggi all’interno di questa storia, che scaturisce, naturale, la profonda simmetria con la nostra drammatica modernità.

Ed è dal sogno (ormai da secoli pista notturna di atterraggio per ogni desiderio), che scaturisce la fantasia senza freni di una piccola sognatrice (in un interscambio dialettico tra ciò che è narrato dalla lucidità materna e il prolifico sonno di un’infanzia loquace). In un intreccio a fondamento di una relazione pressoché astratta: quella oscura, sanguigna e matriarcale (tragicità greca) e la vitalità prolifica di un sonno visionario (dialettica generazionale).

In sintesi: un cortocircuito generativo tra madre e figlia (che a sua volta reca tra le braccia le sue due ulteriori natività, due feticci, due fantocci, due bambole).

Mimesis di un tabù e di un destino.

In tale umbratile contesto scaturisce la planimetria geografica del nostro racconto.

Un tumultuoso fiume, ricco di ogni virtù del genio che lo muove, spartisce e divide la scena in due rive ignote l’una all’altra. Giacché un fiume (e il suo Dio) ben si inserisce a fondale di ogni iniziazione: sacro limes invalicabile per due popoli contrapposti e ignoti l’uno all’altro (madre e figlia?).

Quindi in una evocazione delle terribili piaghe bibliche, l’ambiente è all’improvviso vittima dell’asprezza di una siccità mortale: rendendo tutto all’intorno come accartocciato sotto le feroci lame di una luce impietosa.

Dal primo villaggio - o si potrebbe anche dire dal primo stadio metaforico - (tra la passività atterrita di una generazione allo stremo), una giovane vergine (Diana cacciatrice?), salvatrice come deve essere al fondo di ogni tabù l’autrice di vitalità e di salute, superato lo stadio di paura generale, si inoltra all’interno della piaga (un bosco impenetrabile) cercandovi una ragione di speranza.

Simmetricamente, come nell’affresco di Piero ad Arezzo, una sua simmetrica, identica vergine, in un impulso incontrollabile si intreccia con la prima coraggiosa fanciulla che stenta a riconoscere.

E qui la narrazione si impenna nel resoconto che ne fa la prima Diana cacciatrice: il racconto della sua esperienza conoscitiva: narrazione pressoché estatica, mistica, delirante; giacché quel muro-limes-fiume colora tutto il suo contenuto sospetto e allarmante. In un passivo negazionismo generale: benché la virtuosa vergine insista, ormai incantata, sulla pseudo sovrumanità di ciò che gli è apparso.

Medesima narrazione, speculare e simmetrica, così come la reazione degli abitanti della riva opposta.

Entrambi fiduciosi del “nuovo che avanza” e allo stesso tempo atterriti da un nemico che sicuramente gronda dalla creatura incontrata. Così in effetti nell’oscuro di sé, in controluce, ciascuno immagina la sanguinosa sorte di questo sciagurato incontro non cercato né voluto.

I relitti, i naufragi, così come le fughe (Kavafis - Aspettando i barbari) sono l’ideale veleno per atterrire e far sognare nemici da domare ovunque.

Ma contro la violenza è dalla casta Natura delle due simmetriche cacciatrici che potrà forse nascere l’accoglienza. E finanche l’amore.

Prima che, dopo la siccità, il fiume torni a ruggire e a fare immaginare il sogno di un nuovo sogno sognato e poi narrato.

Così è la verità.

Durante la rituale festa finale, improvvisamente giungerà qualcuno che non appartiene ad alcuna delle due tribù: l’esperienza del filosofo e del profeta avrà insegnato ai due popoli che ci si può fidare? No! Infatti costui viene accolto come un “fantasma” seminando il panico nelle due tribù.

Giacché iI resto del mondo è sempre un mistero.

Graziano Sirci